Una bella chicchierata con Mattia Binotto che guida la Sauber al grande passaggio in Audi dalla prossima stagione. Tra passato, presente e futuro sempre pensando a quanto ha imparato lavorando in Ferrari con Montezemolo, Todt, Schumacher &c.
Ecco l’intervista pubblicata da il Giornale

Oggi si chiama ancora Sauber, ma presto diventerà Audi a tutti gli effetti preparandosi a entrare in un mondo nuovo perché la casa tedesca ha vinto ovunque ha corso: rally, endurance, Dakar. Che cosa voglia dalla Formula 1 è chiaro, lo chiede la sua storia. A guidare il team c’è Mattia Binotto che, accantonato frettolosamente dalla Ferrari, ha sposato quella che è la sua sfida più grande.
Le cose stanno andando bene.
“Stanno andando meglio, il bene deve ancora arrivare”.
In 14 gare avete già fatto più punti di quelli ottenuti nelle ultime due stagioni. Era quello che volevate?
“L’obiettivo che ci eravamo posti era di batterci ad ogni gara per i punti. E quando hai McLaren, Ferrari, Mercedes e Red Bull che te ne occupano 8 posizioni, capisci che per gli altri rimangono due posti. Era un traguardo ambizioso anche perché ci stiamo concentrando soprattutto sul 2026 quando diventeremo Audi a tutti gli effetti”.
Il tutto senza rivoluzioni nel team?
“Le persone sono rimaste le stesse ed è la cosa bella perchè vuol dire che organizzando le cose in un certo modo cambiano i risultati. Non è l’arrivo di nuove persone che ha migliorato le prestazioni, abbiamo cambiato metodo, rivisto alcuni processi. È quello che ha fatto la differenza”.
Ha portato in Sauber un po’ di quell’essere Ferrari che aveva segnato i primi 25 anni della sua carriera?
“Non dell’essere Ferrari, perché qui c’è una cultura diversa. Ma certamente della mia esperienza. Questa è una squadra davvero internazionale con tantissime nazionalità. Nella parte produzione ci sono molti svizzeri, mentre nella parte di ingegneria, marketing, staff, finanza siamo molto internazionali, tanto che la lingua ufficiale è l’inglese”.
Parliamo di Svizzera tedesca, un po’ diversa da quella dove è nato.
“C’è la stessa differenza che in Italia possiamo trovare tra Sicilia e l’Alto Adige. È sempre la stessa nazione, un po’ come tornare a casa, ma nella Svizzera tedesca la cultura è molto diversa da quella di Losanna dove sono nato e cresciuto”.
Oggi i team principal sono trattati un po’ come degli allenatori di calcio. Sta diventando un lavoro, ben pagato, ma rischioso. Se qualcosa non voi saltare voi come gli allenatori.
“Quando sono entrato in Ferrari nel 1995 pensavo di rimanere per sempre in Ferrari, perchè quella era la mia azienda. Quando hai quel ruolo sai che non sarà più per sempre. Nel giorno in cui sono diventato team principal ho capito che prima o poi avrei lasciato la Ferrari. Questo è un lavoro molto esposto mediaticamente e credo che la pressione mediatica abbia una grossa influenza”.
Beh in Sauber la pressione dei media credo sia vicina alla zero, però la pressione Audi si farà sentire?
“Vero, la pressione mediatica per la Sauber è molto piccola e questo ci permette di lavorare in modo molto più sereno. Quando saremo Audi cambierà. Ci saranno la pressione mediatica e anche quella interna perché è un’azienda grande, abituata a vincere quando partecipa”.
Audi significa un passato vincente in ogni competizione a cui ha partecipato, rally, endurance, raid. Il peso della responsabilità sarà enorme.
“Non solo perché Audi non ha solo vinto. Ha vinto a modo suo, innovando. Pensate alle quattro ruote motrici nei rally, al diesel nell’endurance, all’elettrico alla Dakar. Ha vinto introducendo nuove tecnologie. Quindi penso che il peso della responsabilità non sia solo quello di vincere, ma di farlo in modo diverso rispetto a quello che è la Formula 1 oggi”.
Vi siete dati 5 anni?
“Ci siamo dati l’obiettivo di lottare per il Mondiale nel 2030”.
Che cosa vi manca? Che cosa avevate a Maranello che non c’è ancora in questo team?
“Ci siamo dati cinque anni perché tre servono per organizzare, strutturare, costruire la squadra e due per consolidare e lottare per la vittoria”.
Da dove si comincia a costruire?
“Dalle persone. Siamo sottodimensionati rispetto ai top team perché questa è sempre stata una squadra privata. Ci mancano quasi 300 persone. E crescendo le persone devono crescere anche le strutture dove farle lavorare e anche perché vogliamo aumentare la nostra capacità produttiva interna per velocizzare i processi. Poi penso a nuovi strumenti di sperimentazione, nuovi simulatori. Quindi nuovi spazi per ingegneria, produzione e sperimentazione”.
Avete aperto anche un’antenna tecnologica in Inghilterra?
“Era necessario perché non è facile convincere persone con certe competenze a lasciare la famiglia per venire in Svizzera. Là avremo 22/25 persone. E ci servirà anche per fare scouting di giovani talenti”.
Dovrò coordinare una squadra con tre basi: la Svizzera, l’Inghilterra e la Germania per i motori.
“Il Covid ci ha insegnato che molte cose si possono fare da remoto. Quindi che in ingegnere sia seduto in ufficio in Inghilterra o in Svizzera cambia poco”.
Quali sono gli ingredienti per vincere in Formula 1?
“Ho la fortuna di essere in Ferrari nei tempi più vincenti con Montezemolo, Todt, Ross Brawn, Schumacher… se c’è una cosa che faceva la differenza allora e che farà sempre la differenza in un’azienda sono le persone, e la qualità delle persone come interagiscono tra di loro. Quindi penso che se c’è un ingrediente fondamentale sono proprio la qualità delle persone e la loro interazione”.
La continuità è fondamentale in Formula 1?
“Il lavoro di costruzione di una squadra è lungo. Nel calcio puoi cambiare 11 giocatori molto più velocemente che 1500 persone in un team. Per costruire una squadra lavori sulla cultura, sui metodi, sui processi, sugli strumenti. Quello che serve in Formula 1 è la pazienza. Se si interrompe il lavoro a metà dell’opera, poi si deve ricominciare”-
La pazienza è quella che sarebbe servita in Ferrari tre anni fa.
“Lo dite voi”
E lo abbiamo anche scritto. Con Fred è andata diversamente, si aspettava la riconferma?
“Credo ce l’aspettassimo tutti. Abbiamo parlato di continuità, giusto avere pazienza, concedere il tempo”.
Sorpreso invece di come sia finita tra Horner e la Red Bull?
“Difficile giudicare quel che succede in un altro team, ma di certo nessuno se lo aspettava in questo momento”.
Ora tocca a Mekies che lei aveva portato in Ferrari.
“Sono molto contento perché lo apprezzo e lo stimo. Sono convinto che farà bene, con uno stile molto diverso da Horner. Saprà farsi voler bene dalla squadra e la saprà guidare”.
Lei, Stella, Domenicali addirittura a capo della F1, prima Aldo Costa. Da quella Ferrari sono usciti tanti numeri uno come mai?
“Quella Ferrari ha fatto scuola. C’erano persone straordinarie che ci hanno insegnato molto come mentalità, come approccio, come organizzazione. Ancora oggi io ogni tanto mi chiedo ma cosa farebbero loro in questa situazione. Penso al presidente Montezemolo, a Todt, a Ross e naturalmente a Michael”.
Ha stupito il racconto di Hamilton sul dossier inviato ai tecnici, ma Schumacher come si comportava?
“Non era solo un pilota, ma un leader per attitudine e mentalità. Tra lui Todt e Montezemolo c’era sicuramente uno scambio continuo, molto confronto. Ma tutto restava all’interno del loro cerchio. Su noi tecnici Michael aveva un altro effetto: ci faceva alzare l’asticella tenendo molto alta anche la sua”.
Ha scelto una coppia di piloti con un giovane e un esperto. È la ricetta giusta?
“Per noi in questa nostra fase di crescita funziona, siamo un team che deve imparare e avere un pilota d’esperienza è fondamentale, perché è un punto fermo, sai quanto vale. È un riferimento sicuro, poi visto che il nostro progetto è a lungo termine, ecco che un giovane al suo fianco è un investimento per il futuro”.
Ad Audi basterà o vorrà un top driver?
“Gabriel diventerà un top driver”.
Racconta che gli parla spesso di Schumacher. Che qualità vede il lui?
“Un ragazzino così giovane ha bisogno di sapere. Lui è assetato e ha voglia di crescere ancora. In lui vedo un grande talento, è veloce. E se uno vede i dati di telemetria, oltre a quel che ha già fatto e ha dimostrato non solo nel Formula 3 e in Formula 2, ma anche in queste sue prime gare. La telemetria ci racconta quanto è veloce. È molto utile, razionale, ragiona, lavora tanto. Ha tutte le caratteristiche per diventare un top”
Rivede in lui quello che aveva visto in Charles quando ha cominciato in Ferrari?
“Il talento sì, ma l’attitudine è diversa. Non voglio dire che uno è meglio dell’altro, ma solo che Gabriel è più posato”.
Chi sono oggi i tre top driver in Formula 1.
“C’è un top driver oggi in Formula 1: Max. Io penso che lui faccia la differenza”.
Un giorno andrà in Ferrari?
“E’ il sogni di ogni pilota”.
Pensa sempre che alla fine Piastri batterà Norris?
“Mi piace molto la sua freddezza nei momenti essenziali. Oggi il Mondiale è una maratona con 24 gare e le Sprint: è importante esser sempre veloci, lui lo è, ma soprattutto è importante avere un rendimento costante e lui lo ha”.
Come giudica il primo anno di Kimi che avevate avuto sotto mano in Ferrari?
“Ce lo avevano proposto, ma io non ero coinvolto nella scelta. Per lui è un anno difficile, perché indipendentemente dal talento che tutti gli riconoscono, è esposto alla pressione mediatica di un top team come Mercedes, al confronto con un pilota come Russell molto veloce. Per lui è un esame molto difficile”.
Da Charles, si aspettavi una crescita maggiore?
“Credo stia guidando molto bene, il suo talento è evidente ed è cresciuto molto nella gestione delle gomme, è un pilota di prim’ordine”
Aveva detto che non avrebbe preso Hamilton e oggi magari in tanti le darebbero ragione. Però non era una critica a Hamilton.
“Credo che Hamilton sia uno dei più grandi di tutti i tempi, ma in questa fase della sua carriera non sono sicuro che fosse la scelta più giusta”
Segue sempre le sue vigne in Trentino?
“Produco bianco e bollicine”.
Le bottiglie giuste per brindare alla prima vittoria con Audi.



E’ un pò che non lo si sente dire “dobbiamo capire”, “faremo”. Chissà se dipendeva dall’ambiente ferrari…